Esofago, la diagnosi precoce può prevenire l'insorgenza del tumore
Riccardo Rosati, primario dell’Unità di Chirurgia: “Negli ultimi 30 anni sono in aumento le malattie che interessano l’apparato digerente, con un incredibile incremento dell'adenocarcinoma dell'esofago, patologia che è stato dimostrato essere in relazione alla malattia da riflusso esofageo”.
Il reflusso gastroesofageo colpisce le persone con abitudini alimentari scorrette o affette dal malfunzionamento del Cardias, cioè la valvola che impedisce ai succhi gastrici presenti nello stomaco di risalire l'esofago provocando un fastidioso bruciore. In alcuni casi, però, il disturbo può essere la spia di una malattia ben più grave. “Negli ultimi 30 anni sono in aumento le malattie che interessano l’apparato digerente, con un incredibile incremento dell'adenocarcinoma dell'esofago, patologia che è stato dimostrato essere in relazione alla malattia da riflusso esofageo”, spiega il professor Riccardo Rosati, primario dell’Unità di Chirurgia Gastroenterologica e dell’Unità Week Surgery dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
“Molto spesso, purtroppo, il medico sottovaluta i sintomi che all'inizio si manifestano con rigurgito, bruciore di stomaco, eruttazioni frequenti”, aggiunge Rosati. Disturbi trattati con banali inibitori di pompa e senza fare gli approfondimenti del caso: endoscopia e gastroscopia, che sono gli esami primari per poter identificare la malattia da reflusso. “Molto spesso, da noi si vedono pazienti che hanno questi sintomi trascinati per anni e che arrivano al San Raffaele in un momento in cui la diagnosi è tardiva, cioè quando il tumore si è manifestato con delle metastasi alle linfoghiandole diventando un tumore”, afferma Rosati.
La diagnosi precoce può prevenire l'insorgenza del tumore avanzato, che richiede dei trattamenti multidisciplinari. All'ospedale San Raffaele, una delle strutture che segue il maggior numero di pazienti affetti da adenocarcinoma dell'esofago, è stato creato un centro multidisciplinare dove, oltre al chirurgo, che è la figura centrale, per il paziente, è presente un'intera equipe composta dall'oncologo, il fisioterapista, il gastroenterologo, il radiologo, l'otorinolaringoiatra, il fisiatra. L'infermiere è anche un case manager che raccoglie le indicazioni degli specialisti e organizza gli esami al paziente. Attraverso un consulto multidisciplinare viene decisa la strategia di contrasto del tumore. “I casi immediatamente operabili vengono trattati entro 3 o 4 settimane dal momento dell'inserimento in lista. Per i casi che richiedono una chemio o radioterapia prima dell'intervento iniziano i trattamenti nel giro di un paio di settimane”, precisa Rosati. Il trattamento chemio o radioterapico ha una durata di circa 5 settimane, dopodiché il paziente si ferma, riposa per qualche settimana, per poi essere rivalutato con degli esami diagnostici e quindi operato. Il paziente che va immediatamente al trattamento chirurgico viene trattato con delle tecniche mini-invasive per ricostruire una via digestiva, permettere al paziente una normale qualità di vita e una normale alimentazione.
L'infermiere esegue anche un follow - up attentissimo al paziente, sia durante i trattamenti radioterapici pre-operatori, sia dopo l'intervento e anche dopo la dimissioni.
di Nicola Vaglia