Agire sulle inefficienze del servizio sanitario nazionale
di Alberto Mingardi - Direttore Generale dell'Istituto Bruno Leoni
Tutte le risorse sono scarse e, per forza, debbono essere in qualche modo razionate. Alcune persone troveranno soddisfazione alle proprie domande, altre no. Il “come” scegliere gli uni e gli altri è la vera questione sulla quale si discute da sempre: economia di mercato o, al contrario, intervento pubblico coincidono con criteri diversi. In un caso il principio è che il sistema dei prezzi debba regolare l’accesso alle risorse disponibili. Il mercato è una sorta di asta perpetua, nella quale il miglior offerente si accaparra il lotto per il quale ha espresso il suo interesse. Il miglior offerente si sarà presumibilmente dimostrato più interessato di tutti gli altri, perché immagina di poter fare di quelle risorse un uso migliore, traendone valore. Per questo motivo, l’asta perpetua del mercato avvantaggia tutta la società, e non solo il vincitore. Quando un nuovo azionista “scala” un’azienda in borsa lo fa perché pensa che riuscirà a gestirla o farla gestire meglio di quanto non faccia il management attuale. Ciò significa, verosimilmente, realizzare nuovi prodotti, raggiungere più clienti, ridurre gli sprechi e dunque, nel medio periodo, opportunità più solide per fornitori e imprenditori.
Lo Stato, al contrario, sceglie come distribuire risorse sulla base di criteri pre-determinati. Non assistiamo a un’ asta della quale nessuno sa chi sarà il vincitore. C’è invece un’autorità che decide, di volta in volta, chi è “meritevole”. Quando la politica è onesta coi cittadini, definisce dei criteri che possano essere facilmente comprensibili da tutti. Se la politica contempla riforme in senso liberale, immagina di lasciare spazio all’asta del mercato, restituendo la fornitura di tutta una serie di servizi al gioco del mercato.
Molto spesso però la politica non ha interesse a fare né l’una né l’altra cosa. Deve affermare il proprio ruolo di arbitro e “distributore”, perché è così che diventa indispensabile, per tutte le persone che le affidano la propria vita. Questo significa il massimo di potere discrezionale e il minimo di mercato.
Il problema di questa ricetta è che funzionerebbe benissimo, ma solo se le risorse fossero illimitate. Invece le risorse sono scarse, e tanto più il piatto piange, tanto più questo approccio rischia di scatenare malumore e rabbia. La scelta discrezionale, nel momento in cui è chiaro che tizio viene premiato a spese di caio, diventa incomprensibile per chi se ne sente vittima.
Queste considerazioni di carattere generale sono forse utili per capire il problema delle liste d’attesa. L’obiettivo è il razionamento della fruizione dei servizi alla salute. Perché? Perché le risorse sono limitate e all’orizzonte non si intravede nessun arcobaleno con tanto di pentola d’oro posata ai suoi piedi. La politica potrebbe provare ad agire sulle inefficienze del nostro SSN: ciò però vorrebbe dire ripensarne l’architettura, con cambiamenti che porterebbero a dare più spazio alla componente privata. Ciò diminuirebbe il potere della politica, effettivo e percepito. Oppure essa potrebbe definire nuovi criteri di allocazione delle risorse, fare scelte dolorose, rivedere i livelli essenziali d’assistenza: ma ciò ridurrebbe il numero di persone che si aspettano qualcosa da essa, ed è improbabile che varrebbe al decisore la simpatia degli esclusi. Ecco allora le liste d’attesa: un meccanismo di razionamento subdolo, nel quale nessuno si assume apertamente le proprie responsabilità e si spera che i nodi non vengano al pettine. Il fenomeno sta esplodendo in tutt’Italia, basta guardare le notizie. Ma fare qualcosa vorrebbe dire confrontarsi con regole e mercato. L’una e l’altra parole proibite nell’Italia giallo verde.